La positività è di moda?

positività

Un recente articolo sull’ossessione per la positività che invade tutto e tutti mi ha portata verso alcune riflessioni e considerazioni.

È indubbiamente vero che l’indurre a un pensiero positivo a tutti i costi, sempre e comunque, sia ormai diventato un luogo comune, come è altrettanto vero, purtroppo, che l’umanità in realtà appare sofferente. Sofferente a ogni latitudine, sofferente nel vivere quotidiano e a ogni fascia di età, sofferente, anche quando si sforza di sorridere e di pensare, appunto, positivo. 

Le persone mediamente sono scontente, nervose, arrabbiate. Gli innumerevoli episodi di violenza (verso tutti e tutto) ne sono la drammatica riprova.

Non cadiamo però nell’affermare il suo esatto contrario, in quanto essere negativi sicuramente non giova a niente e a nessuno.

La positività ha i suoi indubbi vantaggi: ci rende persone più gradevoli a noi stessi e agli altri, ci viene in soccorso e ci sostiene nei momenti difficili, certo accompagnata dalle indispensabili lucidità e consapevolezza. 

Non positività in tutti i modi o per forza.

Si vedono ormai spesso inviti al pensiero positivo, a essere ottimisti e ad avere un atteggiamento fiducioso e allegro: formule per la felicità, rimedi a tutti i mali, percorsi miracolosi.

Come se si dovesse stare bene a tutti i costi, essere felici a tutti i costi. 

La vita è fatta anche di momenti in cui siamo tristi o arrabbiati, delusi o scontenti; bene che ci siano perché sono un importante campanello d’allarme che ci permette di entrare maggiormente in contatto con noi, di focalizzare le aree che ci creano disagio, di prendercene cura.

Il nostro benessere, quel benessere che ci sta a cuore, è qualcosa che va conquistato, con impegno, fiducia, costanza. 

Stare bene non è seguire una moda o un sentire banalmente comune, cercare facili soluzioni, dare retta alle mille proposte di formule magiche che ci piovono da tutte le parti.

La cultura della positività che la mindfulness promuove è una positività consapevole.
Il fulcro dell’affermazione sta proprio nella consapevolezza.

Se una persona desidera stare fisicamente e psicologicamente meglio e cambiare le proprie abitudini negative, ben venga! Ottimo, in quanto cercherà di mettere in atto dei “rimedi” al suo malessere o a quello che percepisce come tale.

Perché se è vero che simili proposte stanno avendo successo non è solo perché è di moda, almeno io non lo credo: è perché le persone ne sentono l’esigenza.

Sono anni e anni in cui quello che siamo è stato messo da parte a favore di altro, che poteva essere la famiglia, la carriera, la posizione sociale, l’apparenza a qualsivoglia status.
Finalmente si ritorna a occuparsi da sé dall’interno 
(perché di ritorno si tratta, basti leggere un qualsiasi libro di filosofia).

C’è chi sfrutta quest’onda in modo strumentale? Certo.
C’è chi la cui unica preoccupazione è quella di guadagnare sul malessere altrui? Purtroppo, sì.

Chi si approfitta delle situazioni critiche c’è sempre, basti pensare agli sciacalli dopo un evento climatico devastante come un terremoto o uno tsunami.

Ma ognuno di noi ha la capacità di scegliere.

Se seguiamo il flusso solo perché è di moda, allora probabilmente finiremo vittime di quegli tessi approfittatori che ci propongono soluzioni facili e veloci.

Se invece vogliamo crescere davvero, guardarci dentro davvero, allora sapremo prenderci il nostro tempo, documentarci, capire quale percorso può essere più adatto a noi, ed eventualmente intraprenderlo.

Se impariamo a interpretare le emozioni non come un’imposizione, ma come dati da cui partire per analizzare la nostra condizione, allora poco ci toccheranno le mode o le tendenze del momento. Perché avremo la coscienza di andare ben oltre un gusto attualmente in voga.

Attribuire all’esterno la responsabilità di decisioni che sono nostre è un atteggiamento immaturo e destinato a renderci schiavi. Invece siamo noi che sappiamo qual è il nostro bene e siamo noi che scegliamo come perseguirlo.

Senza cadere nella trappola di raggiungere standard caratteriali impossibili, come quello di stare sempre bene, di essere sempre di buon umore, di essere sempre positivi. Semplicemente perché non sarebbe umano. Così come avviene da anni per gli standard estetici.

Dove collocare quindi la Mindfullness con tutti i suoi annessi e connessi?
Come recepirla, scevra da slogan e da frasi fatte?
Come introiettarla senza che diventi la ricettina sciocca di chiunque per chiunque?

Prendendo distanza da tutto e da tutti e riconnettendosi con noi stessi.
Ovvero mettendo in atto un sano ed equilibrato distacco da ciò che ci condiziona e ci influenza.

Non valutare le proposte che ci arrivano per capire se potrebbero andare bene per noi, ma seguire il processo inverso, ovvero chiederci:
che cosa vorrei per me in questo momento?
che cosa sento che mi farebbe bene?

Potrà essere un libro o delle letture, un percorso con un professionista o un corso da fare per conto nostro, la scoperta di nuovi metodi che fino a quel momento non conoscevamo o altro ancora… analizzare varie possibilità fino a renderci conto se ogni opzione che abbiamo considerato potrebbe fare al caso nostro o meno.
E da lì iniziare una ricerca mirata. Senza accontentarci.

Perché è di noi stessi che stiamo parlando e il nostro bene viene prima di ogni altra cosa.
Non perché così deve essere, ma perché così scegliamo che sia.

6 thoughts on “La positività è di moda?

  1. Stefania Rampolla says:

    Credo che cambiare atteggiamento verso noi stessi sia fondamentale per essere ottimisti. Spesso ci rimproveriamo anche per delle sciocchezze, e questo ci fa sentire come se fossimo inadeguati e secondo me è questo che genera i pensieri negativi. Dobbiamo amarci di più e parlare con noi stessi come faremmo con un bambino, dolcemente e darci il permesso di imparare dai nostri errori,ognuno di noi ha tempi diversi e accettarlo ci fa sentire adeguati a tutte le situazioni che ogni giorno affrontiamo, proprio perchè sappiamo che possiamo riuscire in tutto.

  2. Ivana says:

    Oggi tutti e tutto ci portano a pensare che la felicità sia il fine ultimo di ogni cosa e di ogni nostra azione mentre invece penso piuttosto la felicità sia una conseguenza dell’ascoltarsi e del seguire il proprio vero essere.
    Penso che se non viene da un processo di conoscenza interiore la ricerca spasmodica della felicità porta comunque ad insoddisfazione perché non ci avvicina, e addirittura può allontanarci, da noi stessi .

    • MariaGiovanna says:

      Non posso che essere d’accordo con te, Ivana. Ascoltarsi e seguire il proprio vero essere, come tu dici, sono le premesse imprescindibile per consapevolezza e felicità.

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