È possibile conciliare l’applicazione della mindfulness con le diverse discipline sportive? I pareri sono discordi e la ricerca in merito potrà chiarire sempre di più la questione.
L’inserimento della mindfulness allo sport è pratica recente, ma sono stati condotti molti studi su atleti professionisti.
La mindfulness aiuta gli atleti a gestire quegli aspetti emozionali, comportamentali e interpersonali che impediscono loro, da una parte, di conseguire migliori livelli di prestazione sportiva, e, dall’altra, di vivere pienamente tutti gli altri molteplici aspetti della loro vita.
Ogni atleta dovrebbe essere consapevole dello stato della propria mente e del proprio corpo nel momento presente. Senza questa consapevolezza, l’equilibrio mente/corpo necessario a una ottimale performance si perde facilmente.
Il rischio è quello di andare fuori tempo, di ottenere risultati al di sotto delle proprie capacità o addirittura di andare incontro ad infortuni.
Come detto, ci sono diverse teorie che considerano invece la mindfulness un limite e non una risorsa, perché il rendere cosciente ogni cosa significa ridurre tutto sotto controllo, che alimenta l’illusione di essere padroni di sé stessi ma che in realtà limita le prestazioni.
I primi studi
Negli anni ’70 Timothy Gallwey, coach e saggista statunitense e conosciuto come uno dei padri del Coaching, aveva già introdotto l’utilità della meditazione, o meglio della consapevolezza, nel miglioramento della gestione dello stress nello sport ispirandosi alla filosofia zen e alla psicologia umanistica. Gallwey nel libro “Il gioco interiore del tennis” parlava di due sfide: la partita con l’avversario e quella interiore con i propri stati d’animo, ovvero il dubbio su sé stessi, l’insicurezza, l’ansia e il conseguente calo di concentrazione.
Già allora dunque il punto di partenza era proprio un miglioramento della consapevolezza con l’obiettivo di trovare il modo migliore per affrontare gli ostacoli interiori al raggiungimento del risultato.
Gli studi di Jon Kabat-Zinn
Kabat-Zinn nel 1985 aveva messo a punto un training di mindfulness per gli atleti di canottaggio futuri olimpionici.
Amo pensare alla consapevolezza semplicemente come all’arte di vivere presenti a sé stessi.
Jon Kabat-Zinn
I ricercatori hanno riportato che gli atleti avevano superato le aspettative dell’allenatore in riferimento sia all’esperienza che possedevano sia alle loro abilità fisiche. Gli stessi atleti hanno affermato che la mindfulness li aveva aiutati a svolgere l’attività al loro pieno potenziale. Tuttavia, nonostante i buoni risultati, questo programma era stato accantonato nella psicologia dello sport per i due decenni successivi.
Come si può mettere insieme la mindfulness che si fonda sull’accettazione del qui e ora con la prestazione sportiva?
Attraverso la Mindfulness si cerca di liberarsi dal desiderio osservando gli attaccamenti, ma ciò può sembrare in contraddizione con l’atleta che vuole vincere la gara. È un paradosso che forse può essere spiegato dalle parole di un famoso tennista che perse in modo del tutto inaspettato, visto il vantaggio nell’ultimo set, durante una semifinale degli US Open. Il suo commento fu: “Ho pensato, è fatta. Prima di giocare l’ultimo match-ball ero molto eccitato all’idea che le cose andassero così bene. 15’ dopo ho perso la partita. Perdere così è veramente deludente, anche perché avevo capito che il mio avversario aveva già rinunciato alla vittoria nella sua testa.“
Un altro nuotatore, dopo aver conseguito l’ennesimo record mondiale, ha affermato: “Chi pensa di vincere ha già perso.“
In queste affermazioni c’è il punto di incontro tra sport e mindfulness: focalizzare l’attenzione sul momento presente accettando ciò che arriva in quell’attimo, senza fare previsioni su quello che accadrà. Stare lì con un’esperienza spiacevole o con un dolore fisico o con un pensiero che arriva o con l’eccitazione che travolge.
Stare lì. Accettare e lasciare andare senza aspettarsi nulla sul dopo.
A partire da questo modello, in una ricerca svedese del 2107 si cerca di fare un passo in più. In particolare si fa riferimento a due studi che indagano il rimuginio e la capacità di regolazione emotiva come mediatori tra la consapevolezza e l’uso di strategie di coping* adeguate nello sport.
(*Il concetto di coping – traducibile letteralmente dall’inglese con “far fronte”, “fronteggiare”, “tenere testa” – è impiegato in psicologia per indicare una serie di comportamenti messi in atto dagli individui per cercare di tenere sotto controllo, affrontare e/o minimizzare conflitti e situazioni o eventi stressanti).
Si ipotizza che in un contesto sportivo la mindfulness non agisca direttamente sulla prestazione, ma attraverso altre variabili. In particolare la tesi di fondo è che l’ansia da competizione medi tra la naturale predisposizione alla mindfulness e la performance sportiva. Dunque, il risultato finale sembra essere influenzato indirettamente attraverso una riduzione del pensiero negativo incontrollabile, ripetitivo e autocentrato, e un miglioramento della regolazione emotiva.
Quest’ultima non si riferisce tanto al controllo emotivo, quanto alla capacità di gestire, adattarsi e rispondere alle emozioni. Perché ciò avvenga occorre essere consapevoli, riconoscere e accettare le proprie emozioni. In secondo luogo occorre mettere in atto comportamenti finalizzati al risultato e inibire comportamenti impulsivi come risposta reattiva alle emozioni negative. Ciò comporta una certa flessibilità o uso di strategie appropriate per modulare l’intensità delle risposte emotive. Infine, occorre lavorare sull’accettazione degli stati negativi come facenti parte della vita.
Come si legano rimuginio, regolazione emotiva e mindfulness nello sport?
In questi studi vengono esaminati 244 giovani atleti in uno studio trasversale e 65 nello studio longitudinale. Tutti vengono sottoposti a questionari sulla regolazione emotiva, rimuginio e sull’essere consapevoli. In entrambe le ricerche risulta che gli atleti con una predisposizone innata alla mindfulness avevano una maggiore capacità di comprendere i propri stati interni, una minore reattività, una maggiore capacità di autoregolazione in situazioni di stress e quindi una migliore performance.
Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati dei programmi di training basati sulla mindfulness e sono stati compiute una serie di ricerche sugli atleti per testarne l’efficacia in modo più rigoroso.
Insomma, anche in ambito sportivo, imparare a stare fermi nella tempesta, qualunque forma essa prenda, ancorati al corpo e al respiro, sembra essere la direzione per poter affrontare le sfide che arrivano.